GIANCARLO SALERNO
Lettera ad un quotidiano di Roma.
Handicappato, questa è l’etichetta che la società, senza riguardi pone ad un ragazzo come Giancarlo. E' nato nel 1960 da madre nubile in un paesino del profondo sud calabro. La mamma, che aveva trovato lavoro a Roma, per non abbandonarlo, lo affidò al nonno . Nonostante fosse amorevolmente assistito, la vita di Giancarlo iniziò senza l'affetto materno e durante la sua maturazione, quando cominciavano a vedersi i primi segni della sua diversità, egli deve aver cominciato a sentirne il peso. Così è iniziata, in ogni atto della sua vita, la separazione da quello che per un altro bambino sarebbe stata la "normalità": i giochi, lo studio, (in quel tempo esistevano ancora le classi "differenziali" e le scuole speciali) e più tardi la vita affettiva coi coetanei e ancora più tardi, la speranza di inserirsi nel mondo del lavoro. Poi la morte del nonno. Questa è stata la prima drammatica esperienze a colpire senza pietà la vita di Giancarlo e viverla deve essere stato molto duro anche perché tornando dalla mamma a Roma con la mamma si è dovuto faticosamente inserire nella vita della grande città. Mio padre che lo ha conosciuto molto bene frequentando il gruppo di CAPODARCO o durante la scuola, o nei soggiorni estivi e con la mamma sempre presente nelle riunioni di comitato o durante le lotte per ottenere il diritto al lavoro, ha più volte affermato che quel ragazzo, nonostante le sue difficoltà aveva messo a buon frutto tutto il tempo trascorso: socializzava molto, aveva un buon carattere, sapeva leggere e scrivere, era ben educato e disciplinato. Poi, in un tempo in cui gruppi sensibili e pronti ad operare per risolvere questi problemi presero forza nella società e cominciarono a governare le amministrazioni locali, ebbe l'occasione di poter frequentare un tirocinio di lavoro. Era finalmente stata applicata la Legge 482/68 che stabiliva il diritto al lavoro per gli "Handicappati". Fino ad allora era stata scarsamente applicata, se non per altre categorie protette. Finalmente la politica ne aveva preso coscienza e per risolvere il problema di questi giovani pervicacemente esclusi dal mondo del lavoro e dopo la storica sentenza della Corte costituzionale n° 50, il Comune di Roma, istituì i "Tirocini" e cominciò ad accettare centinaia di giovani "Handicappati" a prendere contatto con il lavoro. Si era finalmente messo in moto, per raggiungere l’integrazione nella vita, un meccanismo inarrestabile, fatto di Comitati, genitori, associazioni, assemblee e congressi: · il Comitato Romano degli Handicappati con Tania Albanesi e mio padre. · Il centro di formazione dell'associazione "CAPODARCO" · Gli "Anni Verdi" · Le decine di associazioni di genitori e handicappati ecc.. L'allora sindaco di Roma Petroselli, fu il primo ad aprire le porte nel 1981 ai tirocini. Poi via via con la costante presenza di Augusto Battaglia, oggi deputato della Repubblica, che aveva fatto di quella Legge e della sua applicazione una questione morale, insieme al Sindaco Ugo Vetere, fu preparata l’assunzione al comune di Roma di tutti i tirocinanti che in quegli anni (dal’81 all'86) avevano ottenuto la frequenza. Per merito dell’associazione di Capodarco e del costante lavoro di Maria Giovanna Caria, dopo il tirocinio, molti altri furono assunti alla Centrale del Latte, all’ACOTRAL, alla RAI, alla Cassa di Risparmio di Roma e in vari Ospedali.
Per tutti noi e per la mamma di Giancarlo sembrava il coronamento di un sogno meraviglioso. Giancarlo fu assunto presso la USL numero 9 e assegnato alla farmacia dell'Ospedale San Giovanni/Addolorata. Egli abitava con la mamma in un appartamento nel quartiere Tuscolano e qualche mattina, se il tempo era inclemente o il traffico lo esigeva, mio padre lo accompagnava insieme a mio fratello in automobile. In quelle occasioni egli esprimeva sempre la sua estrema soddisfazione per il lavoro e tutta la sua felicità per essere finalmente in grado di aiutare la mamma col suo stipendio. Era proprio una bella fortuna! Troppo bella perchè in questi casi la sfortuna cerca sempre di pareggiare i conti.
Al termine di questa disastrosa avventura, per motivi organizzativi o in conseguenza della sua lunga assenza, Giancarlo venne trasferito al Reparto di Manutenzione dell'Autoparco dell'Addolorata e allontanato nuovamente dalle sue certezze psicologiche di cui aveva sempre grande bisogno. Poi, appena tutto sembrava rimettersi a posto, un mattino, un'altro durissimo colpo: trovò la mamma morta nel letto. Non c’è bisogno di descrivere il dramma che travolge Giancarlo, sprofondato nella solitudine più profonda e senza istituzioni disposte ad aiutarlo. Al funerale i suoi parenti c'erano tutti, ma uno dopo l'altro sono scomparsi, lasciando il loro posto ai pochi volontari dell'associazione di Capodorco. Piove sempre sul bagnato e per altre sfortunate circostanze Giancarlo viene sfrattato e rimane anche senza casa. Per far fronte alla sua solitudine, l’associazione di Capodarco, tramite Maria Giovanna e mio padre, riuscì a trovargli un posto presso la propria sede, in una Casa famiglia dove venne accolto amorevolmente. Ogni tanto tornando dal lavoro, perdeva la strada e la polizia lo ritrovava sempre sulla strada in direzione del cimitero di Prima Porta dove è sepolta la madre. Una di quelle volte, puntando nuovamente verso quel cimitero, attraversando il raccordo anulare, venne travolto da un furgone. Fu ridotto in fin di vita e in coma, con fratture multiple e paralizzato in tutto il corpo. Venne ricoverato all'ospedale di Frascati, dove vi rimase quasi un mese. Poi venne trasferito al "Trauma Center" del San Giovanni per poi, dopo un periodo presso Neurologia, sempre in stato comatoso e nutrito con alimentazione forzata tramite "PEG" (sonda inserita nello stomaco), venne destinato il 12 dicembre del 2000 al IV Medicina dell'Addolorata. In questo lungo lasso di tempo, scomparsi i parenti, vicino a lui son rimasti solo Maria Giovanna e mio padre Carlo che allora aveva 78 anni. Intanto Giancarlo, uscito dal coma ma rimasto completamente paralizzato su un letto, ha perso il lavoro tanto faticosamente ottenuto. Nella sua vita, ora non gli resta altro che l’amorevole vicinanza dei suoi due unici amici: Carlo e Maria Giovanna. L'essere rimasto aggrappato alla vita è già un miracolo, ma avrebbe bisogno di essere trasferito con urgenza in un luogo per essere riabilitato. Questa situazione, già da molti mesi non riesce a sbloccarsi e Giancarlo continua a giacere su un letto, immobilizzato e inutile a se e agli altri. Perché nessuna autorità riesce ad aiutarlo ad uscire da questa situazione della quale anche lui si sta drammaticamente rendendo conto?
Comunità di Capodarco - Comunità 21 Marzo - ADDHA - Associazione Difesa Diritti degli Handicappati Pagina aggiornata giovedì 23 ottobre 2008 21.19 by Enzo
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